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148 novelle indiane di visnusarma

Anche chi stermina
Dannose belve,
Al tristo orrore
D’inferno andrà,
Perch’egli ha core


Senza pietà;
Ma quanto più
Colui v’andrà
Che le innocenti
Ammazzerà!


Ora, quei sacrificatori che nei sacrifizi uccidono animali, non intendono, stolti! il vero significato della tradizione. Perche là è detto questo: «Devesi sacrificare con degli agia». Ora, per questi agia s’intendono grani di riso di tre o di sette anni, che non germogliano più1. Ed è stato detto:


Se ascende fra i beati
Chi gli alberi troncò
E di animai sgozzati


Nel sangue si macchiò,
Di chi dir si potrà
Ch’egli all’inferno andra?


E nero io non mungerò mai di esseri viventi; bensì darò la sentenza tra il vincente e il perdente. Ma io sono vecchio e da lontano non intendo bene le parole dell’uno e dell’altro. Ora però che sapete ciò, facendovi più vicini a me, dite in mia presenza il vostro negozio, perchè io, presane conoscenza, mentre dirò la sentenza che definirà la questione, non perda il frutto dell’altra vita. Perchè è stato detto:


Chi per rispetto2,
O per furore,
O per affetto,
O per timore,
Sentenza dà,
Verso l’inferno
Cadendo va.
In falso per greggi,
Cinque uomini ammazza;


In falso per bovi,
Dieci uomini ammazza;
In falso per donna,
Cent’uomini ammazza;
In falso per uomo,
Mille uomini ammazza3.
Ove chiaro ed aperto il suo pensiero
Non dica alcun sedendo in tribunale,

Lontan si tenga o parli veritiero.


Perciò voi venendo senza alcun timore sotto agli orecchi miei, parlate chiaramente. — Ma a che tante parole? Il passero e la lepre furon così abilmente persuasi da quel malvagio, che s’accostarono a lui. Allora, e nello stesso tempo, uno di essi fu raggiunto da lui con una zampa e l’altro afferrato con la sega dei denti. Così ambedue furon morti e divorati. E però io dico:


Soltanto pensano
Al dritto che hanno
La lepre e il passero;
Ma poi che stanno


Con un tristo arbitro,
Ambo finita
Hanno la vita.

  1. La parola agiâ, in sanscrito, vuol dire capra, e agia significa non nato, o che non rinasce più. Da ciò è venuta la doppia interpretazione del testo della legge sacrificale, a cui si accenna, cioè: si deve sacrificare con bestie dell’armento (agiâ, capra); — si deve sacrificare con cosa che non rinasce o non germoglia più (agia); per cosa, che non rinasce più, si è voluto intendere granelli di riso di tre o di sette anni.
  2. Cioè lasciandosi governare o da rispetto verso altrui, o da ira, ecc.
  3. Cioè quel giudice che per greggi dà una sentenza falsa, e reo della morte di cinque uomini; quel giudice che per buoi dà una sentenza falsa, è reo della morte di dieci uomini; e così di seguito.