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148 | novelle indiane di visnusarma |
Ora, quei sacrificatori che nei sacrifizi uccidono animali, non intendono, stolti! il vero significato della tradizione. Perche là è detto questo: «Devesi sacrificare con degli agia». Ora, per questi agia s’intendono grani di riso di tre o di sette anni, che non germogliano più1. Ed è stato detto:
E nero io non mungerò mai di esseri viventi; bensì darò la sentenza tra il vincente e il perdente. Ma io sono vecchio e da lontano non intendo bene le parole dell’uno e dell’altro. Ora però che sapete ciò, facendovi più vicini a me, dite in mia presenza il vostro negozio, perchè io, presane conoscenza, mentre dirò la sentenza che definirà la questione, non perda il frutto dell’altra vita. Perchè è stato detto:
Lontan si tenga o parli veritiero.
Perciò voi venendo senza alcun timore sotto agli orecchi miei, parlate chiaramente. — Ma a che tante parole? Il passero e la lepre furon così abilmente persuasi da quel malvagio, che s’accostarono a lui. Allora, e nello stesso tempo, uno di essi fu raggiunto da lui con una zampa e l’altro afferrato con la sega dei denti. Così ambedue furon morti e divorati. E però io dico:
- ↑ La parola agiâ, in sanscrito, vuol dire capra, e agia significa non nato, o che non rinasce più. Da ciò è venuta la doppia interpretazione del testo della legge sacrificale, a cui si accenna, cioè: si deve sacrificare con bestie dell’armento (agiâ, capra); — si deve sacrificare con cosa che non rinasce o non germoglia più (agia); per cosa, che non rinasce più, si è voluto intendere granelli di riso di tre o di sette anni.
- ↑ Cioè lasciandosi governare o da rispetto verso altrui, o da ira, ecc.
- ↑ Cioè quel giudice che per greggi dà una sentenza falsa, e reo della morte di cinque uomini; quel giudice che per buoi dà una sentenza falsa, è reo della morte di dieci uomini; e così di seguito.