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libro terzo | 145 |
inchino in silenzio, vattene sollecitamente. Se no, se tu le interromperai la sua meditazione, anche di più s’adirerà contro di te. — L’elefante allora, tutto spaventato nell’animo, fatto un inchino alla luna, si mosse per andar via di là, e le lepri, incominciando da quel giorno, con tutte le loro genti felicemente abitarono in quei loro luoghi. Perciò io dico:
Le lepri che ricorsero alla luna,
Menar potermi vita felicissima.
Chi poi ha cara la sua vita, non si associ mai per aver protezione con un uomo dappoco, sordido, codardo, disgraziato, ingrato, tale che per indole propria non fa che ciarlare e domandare. Perchè è stato detto:
Gli uccelli dissero: Come ciò? — E il corvo disse:
Racconto. — Un tempo, io sono stato ad abitare sopra un grand’albero di fico in un paese selvoso. Sotto, in una cavità dell’albero, abitava un passero di nome Capingiala. Noi due sempre, nell’ora del tramontar del sole, venendo a trovarci, godevamo dello stare insieme in piacevoli discorsi e del raccontare i fatti antichi dei sapienti divini, dei sapienti regi, dei sapienti braminici, e del descrivere le molte cose curiose vedute da noi nell’andare errando qua e là; e così il tempo passava. Ma un giorno Capingiala, per procacciarsi da mangiare, se n’andò con altri passeri ad un paese pieno di riso maturo. Al cader della notte, egli non era ancora tornato, perchè io, turbato nell’animo e afflitto per la sua assenza, andava pensando: Come mai oggi non è ritornato Capingiala? Forse egli è stato preso a qualche laccio o anche stato ucciso da qualcuno! In ogni modo, s’egli è sano e salvo, non potrà stare senza di me. — Mentre io era in questi pensieri, passarono molti giorni, quand’ecco che una lepre di nome Sigraga, capitata là nell’ora del tramonto, si cacciò in quella cavità dell’albero, nè io, poichè disperava ornai di Capingiala, ne la impedii. Ma poi, a un altro giorno, Capingiala, ricordatosi del luogo suo, ingrassatosi omai col mangiar del riso, là ancora fece ritorno. Però giustamente si suol dire:
Vedendo egli allora la lepre che s’era cacciata nella cavità dell’albero, così le gridò con atto di disprezzo: O lepre, tu non hai fatto bene entrando in casa mia. Però escine tosto. — Ma la lepre disse: O sciocca, questa non
Pizzi, Novelle Indiane di Visnusarma. — 10. |