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124 novelle indiane di visnusarma

il Facitore e il Destino, resolo simile ad Upabuctadana, sparirono. Perciò io dico:


Chi ricchezze guadagnò
Nulla nulla ne godè

Come in sua stoltizia fe’
Somilaca a una selva allor che andò.


Perciò, o caro Hiraniaca, pensando a tutto ciò, non devi dolerti delle tue ricchezze, perchè ricchezza che si ha e non si può godere, si deve reputare come ricchezza che non si ha. Ora è stato detto:


Se son ricchi quei che in casa
Seppellito hanno un tesor,


Perchè mai ricchi non siamo
Anche noi di quel tesor?


E poi:


Di ricchezze guadagnate
Uso sano è il largheggiar;


Acque in stagni ragunate
Vanno i campi ad irrigar.


Ancora:


Goder si dee,
Si dee donar,
Ma nessun cumulo
D’oro o d’argento
Si dee levar.


Vedi che all’api
Che mucchi fanno
Di miei dolcissimo,
Altri poi vanno
Tutto a rubar.


E poi:


Darne, goderne, perderla,
Tre vie della ricchezza;

Va per la terza allora
Che non ne godi e non ne fai larghezza.


Così pensando, nessun uomo che abbia senno, non deve far guadagni per cupidigia, perchè tutto ciò è cagione di sfortuna. Ed è stato detto:


Gli stolidi che cercano
Quaggiù felicità
Nella ricchezza o in altre
Simili vanità,


Son come quei che accostansi,
Dell’està nel calor,
Per rinfrescarsi un poco
D’una vampa all’ardor.


Perciò, ogni uomo saggio deve contentarsi di ciò che ha. Perchè è stato detto:


Cibansi d’aere,
E non son deboli,
Serpenti e vipere;
Lionfanti mangiano
Di pagliuzze aride
E son fortissimi;
Con frutti e radiche
La vita passano
I casti monaci;
Ma un tesor splendido
Per tutti gli uomini
È un gaudio massimo.


Felicità di quei che, in cor tranquillo,
Ciba l’ambrosia d’esser sempre pago1,

Non è di tal che, d’arricchir voglioso,
Corre di qua di là ramingo e vago.

Chi come il nettare
Bee contentezza2
Ha tutto il vivere
In allegrezza,
Ma infelicissimi
Quei sempre stanno
Che non s’appagano
Di quello che hanno.

  1. Pago di ciò che ha.
  2. Non è bello in italiano dire bere la contentezza, ma il testo e l’immagine vogliono così.