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112 | novelle indiane di visnusarma |
Udendo cotesto, io pensai fra me: Ciò che dice questo mio nemico, è pur vero! Io non posso più saltar tant’alto quanto un dito. Oh! misera vita di un uomo che non ha denari! Perchè è stato detto:
E d’orzo il nome e non hanno valore,
Così è l’uom che deserto è di ricchezza.
I pregi e le virtù di quello e questo
Ricchezza illuminar sì come il sole.
In ogni parte, nato in steril loco,
All’opra d’un meschin va preferito.
Dopo che io, affranto delle forze, ebbi così borbottato fra me, vedendo il mio tesoro adoperato ad uso di guanciale, all’ora dello spuntar del giorno ritornai alla mia tana. Allora, i miei servitori, mentre andavan qua e là, si dicevano l’un l’altro a voce bassa: Oh! costui non è più capace di riempirci il ventre! Anzi, a chi gli va dietro, toccherà la disgrazia d’incontrarsi in un gatto o in qualche altro malanno. A che dunque prestargli ossequio? Perchè è stato detto:
Dal qual niun frutto è lecito sperare,
Ma sì quanti più mali e danni vuoi. —
Mentre io udiva per via queste loro parole, entrato nella mia tana, intanto che nessuno m’era venuto incontro, andava pensando fra me: Accidenti all’esser povero! Ora, giustamente si suol dire:
E quel convito funerale è morto
Dove un prete ufficiarne non fu scorto;
Quel sacrifizio è morto ove non sia
Innanzi addotta la vittima pia.