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libro secondo | 107 |
dal suo acconsentimento, abitai felicemente, addetto al culto degli Dei. Un giorno però, di gran mattino, come fui destato, porgendo attenzione stetti ad ascoltare il Bramino e la moglie sue che piativano insieme. Il Bramino diceva: O Bramina, domani mattina cade la solennità del solsitizio d’estate in cui si fanno doni infiniti. Io però in gran freta, per far le provvigioni, andrò alla villa. Tu intanto, in onore del Sole beato, devi apprestar da desinare ad un Bramino. — Udendo cotesto, la Bramina con voce aspra rimproverandolo gli rspose: Come puoi tu avere da dar da desinare ad un Bramino, oppresso come sei dalla povertà? Così parlando, come non ti vergogni tu? Davvero! che dal momento che tu mi hai dato la mano di sposa, io non ho mai avuto bene! non ho avuto focacce e non pietanze da assaggiare! non ornamenti per le braccia, per le gambe, per gli orecchi, per il collo o per altro! — Udendo ciò, il Bramino, benchè intimorito, rispose con tutta pace: O Bramina, non è bello parlar così, perchè è stato detto:
E poi:
E poi:
E poi:
Bugiardamente
Nomar si dè
Chi, ben che ricco e grande, nulla dà?
Così non chiamasi
Dai sapïenti
Il dio che a guardia
Sta de’ tesor,
- ↑ Cuvera, dio custode dei tesori e delle ricchezze sotterranee, che non dà nulla a nessuno, non è chiamato dai saggi re dei re, sì bene è detto tale il dio Siva, re dei numi, che è donator di beni e per sè è povero.
- ↑ Giuoco di parole nel testo. Il sanscrito dâna significa dono e anche l’umore che stilla dalle tempia dell’elefante in amore. L’elefante lo manda fuori e si consuma, ma non l’asino che resta pingue e grasso.