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LIBRO SECONDO.
Ora s’incomincia il secondo libro detto del modo di acquistar gli amici, e i suoi primi versi sono questi:
Così, pertanto, si racconta:
C’era una volta in una provincia della regione meridionale una città di nome Mihilaropia, non lontano dalla quale era già un grande albero di fico di smisurata altezza, i cui frutti davan da mangiare a infiniti uccelli, le cui cavità brulicavano di bacherozzoli, alla cui ombra venivano a riposare i viandanti. Perciò è stato detto:
Da tutte parti gli augelletti a stormi,
Di cui nel cavo brulicano i vermi
E stan su per li rami a far dimora
Schiere di scimie, di cui l’api attorno
Succhiano i fiori a lor grand’agio, oh! quello
È ben degno di lode, ei, che per molti
Viventi è buono in tutte parti sue!
Gli altri1 inutile peso ènno alla terra.
Ora, abitava là anche un corvo chiamalo Lagupatanaca, il quale un giorno, incamminatosi alla città per far provviste, intanto che guardava qua e là, ecco che gli venne incontro uri uccellatore che teneva in mano una rete, tutto nero del corpo, con distorti i piedi, con irli i capelli, simile ad un ministro di Yama2. Vedendo costui, il corvo, turbato nell’animo, così pensò: Oh! questo scellerato se ne va certamente all’albero di fico dov’è la mia dimora! Però non si può sapere se oggi farà o non farà sterminio degli uccelli che vi abitano. — Così avendo pensato diverse cose, tornato indietro all’istante e venuto a quell’albero di fico, gridò agli uccelli: Ohè! viene uno scellerato di cacciatore che ha nelle mani una rete e granelli di riso. Non vi fidate di lui per nulla. Egli, gittata la rete, vi spargerà i granelli di riso. Quei granelli voi li dovete considerare come altrettanto veleno. Mentre egli così parlava, l’uccellatore, giunto là a’ piedi del fico, gittata la rete e sparsi i granelli di riso che parevano semi di sinduvara3, si ritrasse non molto lontano e stette nascosto. Ma gli uccelli, trattenuti dalla forza delle parole di Lagupatanaca, riguardando