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LIBRO DECIMOTTAVO 187

munito di quell’indizio, com’era naturalmente spertissimo nell’arte dell’accusare,[An. dell’E.V. 359] denunciò la cosa all’Imperatore: e secondo il costume non si mise più tempo in mezzo. Barbazio confessò d’aver ricevuta quella lettera: la moglie di lui fu da irrefragabili prove convinta d’averla scritta; e a tutti e due fu tagliata la testa. Dopo la punizione di costoro poi, si allargarono ampiamente i processi e molti furono vessati, colpevoli e innocenti del pari. Fra i quali anche Valentino (che di capo delle guardie del corpo1 era divenuto tribuno) fu soggettato parecchie volte ai tormenti siccome creduto conscio di quella congiura, benchè ne fosse intieramente ignorante: d’onde poi, quasi a compensare quell’ingiuria e quel pericolo, ottenne la podestà di duca nel1 Illiria. In quanto a Barbazio poi era uomo di rozzi ed arroganti costumi, ed odioso a molti, perchè quando sotto Gallo era stato capo delle guardie della persona si era fatto conoscere traditore e sleale; e dopo la morte di Cesare, insuperbito dal grado di una più nobil milizia, tesseva uguali calunnie anche a danno di Giuliano; e di frequente, con detestazione de’ buoni, mormorava molte e gravi accuse alle aperte orecchie d’Augusto. Nel che mostrò d’ignorare per certo quell’antico e sapiente dettato di Aristotele, il quale, inviando Callistene suo seguace e parente al re Alessandro, gli raccomandò spesse volte di parlare il men che gli fosse possibile e sempre di cose liete con quell’uomo che portava sulla punta della lingua sentenza di vita o di morte. Nè alcuno si meravigli che gli uomini, le cui menti crediamo essere affini colle celesti, qualche volta sappian discernere le cose utili dalle dannose; quando

  1. Primicerius protectorum.