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ventura apparve subitamente anche il prefetto Florenzio con una mano di soldati,[An. dell’E.V. 359] e vettovaglia bastevole per lungo tempo. Dopo di che rimaneva a farsi una cosa di tutta necessità: si dovevano riedificare le mura delle città ricuperate, intanto che nessuno a ciò si opponeva; scorgendosi allora da chiari indizii che i Barbari ubbidivano per timore a quanto era richiesto dalla pubblica utilità, e i Romani per l’amore che avevano al loro capo. Quindi i re, conformemente al trattato dell’anno innanzi, inviarono co’ proprii carri molte cose opportune a quella costruzione; e i soldati ausiliarii che d’ordinario solevano rifiutarsi a così fatti lavori, indotti dalle carezze a secondare l’assiduità di Giuliano, portarono volonterosi sul proprio collo tronchi d’alberi lunghi cinquanta piedi e più, e grandemente si adoperarono ne’ servigi del fabbricare. Mentre siffatti lavori con gran diligenza compievansi ritornò Ariobaude che tutto aveva esplorato, e riferì ogni cosa. E dopo l’arrivo di lui si ridussero tutti frettolosamente a Mogonziaco: dove ostinandosi Florenzio e Lupicino, successor di Severo, che si dovesse passar il fiume sul ponte che colà si trovava, Giuliano fermissimamente si oppose, dicendo che non si dovevan calcare le terre de’ popoli pacifici, affinchè non si rompessero (come parecchie volte è avvenuto) intempestivamente i patti per la insolenza dei soldati che devastano tutto quanto vien loro alle mani. Tutti gli Alamanni frattanto, verso i quali il nostro esercito era diretto, pensando al vicino pericolo, intimarono minacciosamente al re Suomario, divenuto nostro amico in forza del precedente trattato, che contrastasse quel passaggio ai Romani: perocchè i paesi di lui stavano proprio lungo le rive al di là del Reno. Ma protestando quel