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LIBRO DECIMOSETTIMO 177

altrui, affinché le nostre fatiche e la nostra fortezza[An.dell’E.V. 358] conservino intatto il patrimonio di tutti i privati: chè questo si addice alla mente di un buon principe, questa è la conseguenza de’ prosperi successi. Finalmente io pure porto con me, per così dire, una spoglia del vocabolo ostile, il soprannome di Sarmatico per la seconda volta, che voi unanimi e (non si reputi arroganza il dirlo) meritamente mi avete impartito„: Quando questo discorso fu giunto al suo fine, tutta l’adunanza più festosa del solito, principalmente per la speranza di migliorare la propria fortuna, con voci di giubbilo sollevandosi a lodare l’Imperatore, secondo l’usanza proclamavalo Dio; e gridando non poter mai esser vinto Costanzo, tutta lieta ritornò alle tende. E l’Imperatore ricondottosi alla sua reggia, e ricreatosi nell’ozio di due giorni, n’andò a Sirmio di nuovo con pompa trionfale, e le milizie tornarono anch’esse alle sedi lor destinate.

XIV. In que’ medesimi giorni i legati Prospero, Spettato ed Eustazio, spediti come dicemmo già prima ai Persiani, presentaronsi colle lettere dell’Imperatore e coi doni al Re in Ctesifonte dov’egli era tornato. Domandavano che acconsentisse alla pace lasciando le cose in quello stato in cui erano allora: e memori di quanto avea loro commesso Costanzo non si rimovevano mai da quel ch’era richiesto dall’utile e dalla maestà della romana repubblica; affermando doversi stabilire il trattato di pace con questa legge, che non si movesse parola intorno al cambiare lo stato dell’Armenia o della Mesopotamia. Laonde dopo esser colà dimorati gran pezza, poichè videro ostinatissimo il Re a non voler fare la pace se non gli fosse ceduto il dominio di quei paesi, partirono senza avere ottenuto l’oggetto della

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