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LAVDA .XXIX. 41

Grauame forte       lo balestrire,
     lo qual uol ferire       a l’alma polita;40
     facto à balestro       del mondo auersire,
     lo qual en bellire       me mostra sua uita;
     per gli occhi me mette       al core sagette,
     l’orecchie so aperte,       me recan turbanza.44
Turbarne l naso       che uol odorato,
     la bocca assagiato       per dar conforto;
     & lo pegiore       che per me sia stato,
     lo qual m’à guidato       ad uno mal porto,48
     se bè glie i do mangiare,       me fa calciare,
     de l’amesurare       sì fa lamentanza.
Lamentase el tacto       & dice: eo so oso
     d’auer reposo       en mio delectare;52
     or lo m’ài tolto,       sarò rampognoso
     & corroccioso       en mio uiuitare;
     s’allento lo frino       al corpo tapino,
     so preso a l’oncino       de la tristanza.56


De la impatientia che fa tutti li beni perdere.          .xxviij.


     ASsai me sforzo a guadagnare       se l sapesse conseruare.
Relioso sì so stato,       longo tempo ho procacciato;
     & aiolo sì conservato,       che nulla ne pos mostrare.
Stato so en lectione,       esforzato en oratione,4
     mal soffrir a la stagione       & al pouer satisfare.
Stato so en obedenza,       pouertate & sofferenza;
     castetate abbe en placenza       secondo l pouer mio afare.
Et molta fame sostenìa,       freddo & caldo sofferìa;8
     peregrino & longa uia       assai m’è paruto andare.
Assai me lieuo a matutino       ad officio diuino,
     terza & nona & uespertino       po compieta sto a ueghiare.
Et uil cosa me sia dicta,       al cor passa la saicta;12
     & la lengua mia sta ricta       ad uoler fuoco gettare.
Or uedete el guadagnato,       co so ricco & adagiato!
     ch’un parlar m’à sì turbato       ch’a pena posso perdonare.


De la ypocrisia.          .xxix.


     MOlto me so delongato       de la uia che i sancti òn calcato.
Delongato me so da la uia       et storto me so en ypocrisìa;
     et mostro a la gente che sia       lo spirito illuminato.