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LAVDA .XIX. 25

Como l’omo è acecato dal mondo.          .xviij.


     HOmo, tu sè engannato,       ché questo mondo t’à cecato.
Cecato t’à questo monno       co i delecte & col sogiorno
     & col uestimento adorno       & con essere laudato.
Li delecti ch’ài hauuti,       mo que n’ài? sonsene giuti;4
     en uanetà sì t’ài perduti       & facto ci ài molto peccato.
Et unqua non uol pentire       finché uieni a lo morire;
     da che sai non poi guarire,       dice pro l prete sia mandato.
Lo prete dice: figlio mio,       como sta lo facto tio?8
     & tu dice: sere, ch’io       so de mal molto grauato.
Sì t’affligon li figlioli,       ché gli lassi po te soli;
     più de lor che de te doli,       ché l facto lor lassi embrigato.
Quel dolor t’afflige tanto,       quando i figli piangon en alto,12
     che l facto tuo lassi da canto       de render el mal aquistato.
Poi che ueni a lo morire,       li parenti fon uenire;
     non ti lassan ben uscire,       fuor de casa t’on gettato.
Fin a sancto uon gridanno       et dicendo: or ecco danno!16
     torna a casa, briga entanno       che l manecar si’ aparechiato.
Poi che s’onno satollati,       del tuo facto s’on scordati;
     dei denar ch’ai guadagnati       non ài teco alcun portato.
O tapino, a cui aduni?       ad ariccar li toi garzuni?20
     da ch’èi morto, i gran boccuni       se fon del tuo guadagnato.


De l’homo che non satisfece in uita sua del mal acquistato.          .xix.


     FIgli, nepoti & frati,       rendete el maltollecto
     lo quale io ue lassai.
Voi lo prometteste a lo patrino       de renderlo tutto et non uenir mino;
     ancor non me dest per l’alma un ferlino       de tanta moneta quant’io guadagnai.4
Se l te promettemmo or non te l sapeui?       ben eri sagio che tu lo credeui!
     se tu nel tuo facto non prouedeui,       attèndeti a noi che l farimo crai!
Io ui lassai el molto ualore;       pochi presenti da noi ebbe ancore;
     quando ce penso ho gran descionore,       ché m’ò abandonato quel che più amai.8