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18 | JACOPONE DA TODI |
Megli’ è che tu m’occidi, che tu, Signor, sie offeso;
ché non m’emendo, già l uidi; nante a far mal so acceso;
condanna ormai l’appeso, ché caduto è nel bando.8
Comenza far lo iudicio, a tollerme la santade,
al corpo tolli l’officio che non agia più libertade;
perché prosperitade gita l’à mal usando.
A la gente tolli l’affecto, che nul agi de me piatanza;12
per ch’io non so stato derecto hauer a l’inferme amistanza;
& toglieme la baldanza ch’io non ne uada cantando.
Adunense le creature a far de me la uendecta;
ché mal ho usate a tutture contra la legge derecta;16
ciascuna la pena en me mecta per te, Segnor, uendecando.
Non è per tempo el corotto ch’io per te deggo fare;
piangendo continuo el botto douendome de te priuare,
o cor, co l poi pensare, che non te uai consumando?20
O cor, co l poi pensare de lassar turbato amore,
facendol de te priuare ó pateo tanto labore?
or piagne l suo descionore & de te non gir curando.
Como l’anema deuenta morta per el peccato. .xij.
SI como la morte face a lo corpo humanato,
molto peio sì fa a l’anema la gran morte del peccato.
Emprima la morte al corpo sì glie fa mortal ferita
che da omne membro i tolle & scarporiscene la uita;4
glie membra perdon l’uso poi che la uita è finita;
l’anema poi s’è partita, lo corpo torna anichilato.
Lo peccato più che morte sì fa sua ferita dura;
ché a l’alma tolle Dio & corrompegl sua natura;8
lo ben non pò operare; ma li mali en gran plenura
cader en tanta affrantura per cusì uil delectato.
Questa morte tol al corpo la belleza e l colore;
& la forma è sì desfacta, ch’a ueder dà un orrore;12
non se troua sì securo che nogl generi pauore
de ueder quel terrore de l’aspecto desformato.
Lo peccato sì fa a l’alma si terribele ferita,
che glie tolle la belleza che da Dio era insignita;16
chi uedere la potesse sì glie tollerìa la uita;
la faccia terribilita, crudel morte è l suo sguardato.