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LAVDA .XI. 17

O dolcissimo Signore,       prego che sie patiente;
     lo nemico engannatore       m’à sotracto malamente;
     ritornato so a niente       per la gran mia niquitanza.
Test’è l’anuito che io agio,       che pro l nemico m’ài lassato;8
     & hai creso en tuo coragio       a ciò che t’à consegliato;
     el mio consegl’ài desprezato       per la tua grande arroganza.
Lo conseglio me fo dato       ch’io deuesse el mondo usare:
     da poi che sera’ enuechiato,       tu te porrai confessare;12
     assai tempo porrai dare       al Signor per perdonanza.
Testo era palese enganno       che te mettiui ad osolare;
     ché non ài termen d’un anno,       ned un’hora poi sperare;
     se tu credeui enuechiare,       fallace era tua speranza.16
La speranza che hauea       de lo tuo gran perdonare,
     a peccar me conducea,       et facealme adoperare
     en speranza de tornare       a la fin con gran fidanza.
La speranza del perdono       sì è data a chi la uole;20
     & io a colui la dono       che del suo peccato dole,
     non a quel che peccar sole       à spem ch’io non facci la uegnanza.
Po l peccato hauea commesso,       sì dicea del confessare;
     el nemico dicea con esso:       tu no l porrai mai fare;24
     co porrai pena portare       de cusì grande offensanza?
La pena che è portata       en questo mondo del peccato,
     lebbe cosa è reputata       a pensar de quello stato
     nel qual l’uomo n’è dannato       per la sua gran nequitanza.28
Col sozo laido peccato5       me tenea col uergognare
     & diceame: en esso stato       tu nol porrai confessare;
     co porrai al prete spalare       così grande abominanza?
Meglio t’è d’auer uergogna       denante al preite mio,32
     che hauerla poi con doglia       al iudicar che farò io,
     che mostraraio el facto tio       en cusì grande adunanza.
Et io me rendo or pentuto       de la mia offensione,
     ché non so stato aueduto       de la mia saluatione;36
     pregote Dio, mio patrone,       che de me aggi piatanza.
Poi ch’a me te sei renduto,       sì te uoglio recepire;
     et questo pacto sia statuto       che non degge più fallire;
     ch’io non porrìa suffrire       cusì grande sconoscenza.40


De l’anema contrita de l’offesa di Dio.          .xi.


     SIgnore, damme la morte       nante ch’io più te offenda;
     et lo cor me se fenda       ch’en mal perseuerando.
Signor, non t’è giouato       mostrarme cortesìa;
     tanto so stato engrato,       pieno di uillanìa!4
     pun fin a la uita mia       ch’è gita te contrastando.