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118 | JACOPONE DA TODI |
Frate, la croce m’è delectamento,
nollo dir mai ch’en lei sia tormento;48
forsa non èi al suo giognemento
che tu la uogli per sposa abracciare.
Tu stai al caldo, ma io sto nel fuoco;
a te è dilecto, ma io tutto cuoco;52
con la fornace trouar non po loco;
se non c’èi entrato, non sai quegne stare.
Frate, tu parli che io non t’entendo,
como l’amore gir uoi fugendo;56
questo tuo stato uerrìa conoscendo,
se tu el me potessi en cuore splanare.
Frate, el tuo stato è en sapor de gusto,
ma io ch’ò beuuto, portar non po el musto,60
non aggio cerchio che sia tanto tusto
che la fortuna non faccia alentare.
Del iubilo del core che esce in uoce. .lxxvi.
O Iubilo del core, che fai cantar d’amore.
Quando iubilo se scalda, sì fa l’uomo cantare;
et la lengua barbaglia et non sa que parlare,
dentro non pò celare, tanto è grande el dolzore!4
Quando iubilo è acceso, sì fa l’omo clamare;
lo cor d’amore è preso che nol pò comportare,
stridendo el fa gridare et non uergogna allore.
Quando iubilo ha preso lo cor enamorato,8
le gente l’à en deriso, pensando suo parlato,
parlando smesurato de que sente calore.
O iubil, dolce gaudio, ched entri ne la mente,
lo cor deuenta sauio celar suo conuenente,12
non può esser soffrente che non faccia clamore.
Chi non ha costumanza, te reputa empazito,
uedendo sualianza com homo ch’è desuanito,
dentro lo cor ferito non se sente de fuore.16
De l’amor muto. .lxxvij.
O Amore muto, che non uoi parlare
ché non sie conosciuto!
O amor che te celi per omne stagione,
ch’omo de fuor non senta la tua affectione,4
che non la senta latrone per quel ch’ài guadagnato,
che non te sia raputo.