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Capitolo LVIII.

Air epoca dei romanzi, nella quale di tutti i grandi uomini si spacciarono bizzarre avventure d’ amore, anche Aristotele, il maestro di color che sanno, diede argomento a curiosi racconti. Si narra nella sua biografia, che l’ anno 348 av. Cristo, essendo morto Platone, alle lezioni del quale assisteva, e gli Ateniesi avendo intimata guerra a Filippo di Macedonia, egli abbandonò Atene, e si ritirò ad Atarne, dove Ermia suo amico avea sovrana autorità. Ucciso poi Ermia per tradimento del re di Persia Artaserse, Aristotele ne eternò la memoria con un celebre inno, e ne sposò la sorella, di nome Pizia, la quale assai pili giovane del morto fratello, da esso era educata ed amata come figlia, ed allora trovavasi da tutti abbandonata. Essa morì molto prima di Aristotele. Si novellò eh’ egli amante perduto di lei, ne facesse una divinità, e le rendesse gli onori stessi che gli Ateniesi solevano rendere a Cerere. Egli ebbe una figlia, la quale portò il nome della madre. Il filosofo nel suo testamento, conservatoci da Diogene Laerzio, ordinò che il suo cadavere fosse sepolto insieme con quello dell’amatissima sposa, la quale molto tempo prima l’aveva preceduto nel sepolcrale riposo.