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to in una pianura, mostrogli un luogo misurato in un bel quadro, disse: Quivi, o Esopo, voglio, che tu edifichi una Torre, la qual nè Cielo tocchi, nè in Terra sia fondata. Ivi Esopo pose a ciascuno de’ quattro angoli uno de’ fanciulli con la sua Aquila, ed una sporta nella quale erano quelli istromenti, che li muratori al murare sogliono usare; come la cazzuola, il martello, e ferri, ed assettatisi comandamente i fanciulli nelle sporte, come soleano, diedero segno all’Aquile che volassero in alto. Quelle subitamente spiegate le ali, cominciarono a sormontate, ed i fanciulli allora ad alta voce gridando dicevano: Dateci calcina, dateci pietre, dateci legni, ed altre cose, se volete che noi facciamo la Torre. Se il popolo Egizio, il quale era ivi convenuto, e Nectenabò, restarono avvolti nello stupore è agevol cosa il congetturarlo; perciò disse il Re mai non udiii, nè intesi, nè ho letto, che uomini volassero. Rispose Esopo: il Re Liceto mio Signore, come tu vedi ne tiene: non voler adunque paragonarti come un Re, il quale è simile agli Dei, e quasi uguale. Restrinsesi allora Nectenabò nelle spalle, e come un uomo dalla maraviglia, e dall’effetto vinto, disse ad Esopo: Io confesso Liceto esser maggior di me, e più potente, e degno, a cui io dono ubbidienza, e tributo; ma prima voglio proporti alcune questioni, alle quali se tu saprai rispondere, non mancherò di osservare, e mantenere la parola mia. Primamente voglio da te sapere, donde viene, che alcune giumente, che io ho quì in Egitto, come sentono i cavalli, che in Babilonia sono, a nitrire incontinente si impregnano. Domani rispose Esopo darotti la soluzione.