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parimente lo Scarafaggio, avendo ogni cosa osservato, li fece rotolando rompere, e spezzare; Disperata l’Aquila, non sapendo chi così attualmente la ingiuriasse. Onde povera di consiglio, non sapendo, che si fare, deliberò andarsene al suo tutore, cioè Giove, e con esso lui di tanta ingiuria querelarsi, nel cui grembo lasciò il terzo suo parto delle ova, le quale a lui molto affettuosamente raccomandò. Lo Scarafaggio, che il progresso dell’Aquila ispirato aveva, alzatosi a volo in alto con una pallotta di sterco, quella nel grembo di Giove lasciò cadere: di che la divinità sua stomacatosi subitamente la bruttezza da se scuotendo, l’ova ancora insieme, le quali allora dalla memoria gli erano uscite scuote fuori del grembo, in cotal modo, che tutte si fracassarono. Giove poscia ricercando donde tal cosa non benevolente venuta fosse, lo Scarafaggio con facete maniere confessò esser lui stato quello, che ciò fatto aveva, non per dispreggio della sua deità, la quale egli adorava; ma solo per vendetta dell’ingiuria dall’Aquila ricevuta, e fece l’offesa alla sua gran maestà aperta, e manifesta. Giove ammiratosi del grand’ardire di quell’animaletto, e considerando l’arrogante presunzione dell’Aquila in aver voluto nel grembo suo far nido, la riprese dell’altiero orgoglio suo, e dissele, che lo Scarafaggio era quegli, che i parti suoi guastava, ed annichilava, il che ragionevolmente faceva per il poco rispetto, che ella ebbe a lui, e per il dispreggio della sua ragionevole richiesta, e l’ammonì, che per l’innanzi da cotanta sua ambiziosa alterezza, sì discostasse. Onde non volendo, che la specie dell’Aquila avesse fine, ed a nulla si riducesse, consigliò lo Scarafaggio a volersi con l’Aquila riconciliare.