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drone, abbrucisi il sacrilego, squartisi il traditore, assassino, e così fu in una oscurissima prigione rinserrato.


C A P I T O L O   LXVI.

ESopo, dolevasi della sua mala sorte, e cruciandosi del fals’inganno, e della ingiustizia fattagli, chiamava l’ajuto delli Dei. Ora in ogni luogo della Città ragionavasi della prigionia di Esopo: un amico il quale chiamavasi Damaso, venga a vederlo, e trovandolo così rammaricato, e sommamente maravigliatosi, come in carcere fosse posto, addimandolli di ciò la cagione, ed egli a lui disse. Deh caro fratello, tu puoi pensare, e credere, che senza mio demerito io sia in queste tenebre tenuto; nè ti maravigliare, che io mi dolga, e pianga, perchè io ne ho ben gran ragione; e voglio, che tu intenda un esempio a questo proposito. Egli avvenne, che una buona donna avendo sepellito con le debite, ed abbondevoli lagrime il morto marito suo, e perseverandole il cordoglio, ed il martello di lui, ogni dì givasene al sepolcro di quello, e di calde lagrime tutto bagnava. Quivi presso era un Contadino, il quale vedendo la dogliosa giovane così amaramente piangere il suo marito, venutagli di lei una amorosa compassione, incontanente innamorossene, laonde lasciato l’aratro, ed abbandonato i buoi andossene al detto sepolcro, là ove stavasi la donna lagrimando, e con essa lei misesi dirottamente a piangere anch’egli. E dopo un luogo pianto, addimandò al Contadino perchè egli ancora così lagrimasse. La cagione rispose egli, o bella, ma dolente donna, della mia passione è simile al caso tuo, perciochè tu piangendo chiami il perduto marito; ed io piango la