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zenone. 81

o fanciullo, le cose che mi soccorrono! — Uno da Rodi, bello, ricco e nulla più, gli si pose vicino; non volendolo tollerare, prima lo fece sedere su’ panche polverose, perchè insudiciasse la clamide; poi nel posto dei poveri, onde lo sfregassero co’ loro stracci. Il giovine finì coll’andarsene. — Appellava l’orgoglio la più sconveniente di tutte le cose, massime ne’ giovani. E diceva non doversi tenere a memoria le voci e le frasi, ma sì occupare la mente nello stabilire ciò che è utile, onde non prenderle come qualche cosa di colto e preparato. Ed essere mestieri che i giovani praticassero la decenza in tutto, nell’incesso, nel portamento e nell’abito; e citava spesso i versi di Euripide sopra Capaneo: ch’egli

     Grandi sostante possedea, ma poco
     Alla ricchezza altero, più fastoso
     D’un mendico non era.


— Diceva nulla essere più contrario della poesia all’acquisto del sapere; e noi di nulla più bisognosi che del tempo. Interrogato, che cosa è un amico, rispose: Un altro me. — Batteva, narrano, uno schiavo per furto; dicendogli costui: era destino in me il rubare; E l’esser battuto, risposegli. — Diceva che la bellezza era il fiore della voce; altri, che la voce della bellezza. — Vedendo il fanciulletto di uno tra’ suoi famigliari coi segni delle battiture, disse a questo: Veggo le impronte della tua collera. — Ad un tale unto di unguento, Chi è, disse, che sa di donna? — Sendogli addimandato da