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CAPO V.
Crate.
I. Crate tebano, figlio di Asconda, fu anch’esso tra i celebri discepoli del Cane. Afferma Ippoboto per altro che non di Diogene, ma fu scolaro di Brisone l’achivo.
II. Si riferiscono questi suoi versi scherzosi:
Bisaccia è una città che al nero fasto
Sta in meno; bella e pingue; d’immondezze
Ricinta; nulla possidente; in cui
Alcun non entra, navigando, stolto
Parassito, nè ghiotto di puttana
Piantatrice di chiappe: ma cipolle
Produce, ed aglio, e fichi, e pane; quindi
Nessun fa guerra all’altro, o per tai cose
Si procurano brandi, o per danaro,
O per gloria. —
È suo anche quel tanto decantato giornale che dice così:
Poni; da darsi al cuoco: dieci mine.
— Al medico: una dramma. — Al piaggiatore:
Cinque talenti. — Al consigliere: fumo.
— Alla puttana: un talento. — Al filosofo
Un triobolo. —