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406 epicuro.

Poichè se questo affermò essendone persuaso, come mai e’ non uscì di vita, avendo bell’e pronto il farlo qualvolta fosse stato fermo nel suo proposito? se poi da burla, fu sciocchezza in cosa che non l’ammette. Dobbiamo ricordarci che il futuro nè nostro è, nè al tutto non nostro, onde e non attenderlo assolutamente come cosa che sarà, e non disperarlo come affatto da non essere. Dobbiamo in oltre pensare che fra i desiderj alcuni sono naturali, altri vani; e tra i naturali alcuni necessari, alcuni soltanto naturali; ma che tra i necessarj parte sono necessari alla felicità, parte alla tranquillità del corpo, parte al vivere stesso. La non vaga contemplazione di sì fatte cose sa condurre a tutto che va scelto e fuggito per la salute del corpo e la calma dello spirito, essendo questo il fine di una vita felice. Poichè in grazia di ciò tutto facciamo per non provare nè dolori nè timori: e quando una volta lo avremo conseguito, si scioglie in qualche modo ogni tempesta dell’animo, non avendo l’animale da rivolgersi quasi ad alcuna cosa minore, e altro da procacciare che quanto serve a perfezionare il bene dell’anima e del corpo. Quindi abbiamo mestieri del piacere, perchè ci dogliamo quando non v’è; e quando non ci dogliamo, non più manchiamo di esso. E per questa ragione diciamo il piacere esser principio e fine di una vita felice: poichè questo riconosciamo primo e congenito bene; da questo incominciamo la scelta o la fuga di ogni cosa, ed a questo arriviamo, giudicando, quasi regola, ogni bene colla passione. E perchè esso è primo bene ed innato, per sua cagione nè an-