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epicuro. 385

che è secondo le circostanze, e quello che è, come che siasi, altrimenti, ma nulla semplicemente esistere nell’incorruttibile e beata natura di ciò che presenta alcuna separazione o disordine: e spetta alla mente il comprendere che questo sia semplicemente così. Ora quello che cade nella conoscenza del tramonto, del sorgere, della conversione, dell’eclissi e simili, già punto non conferisce alla felicità del sapere, ma coloro parimente hanno timore che sì fatte cose osservano, alcuni ignorandone le nature, alcuni le cagioni principalissime, come se prima non le avessero conosciute, e molti fors’anco, quando il timore proveniente dall’anteriore conoscenza di quelle non sappia comprendere la soluzione e l’economia delle più assentite. Egli è perciò ancora che noi troviamo parecchie cagioni dei movimenti, dei tramonti, delle levate, delle eclissi e simili, siccome nelle cose che avvengono pavidamente. E non s’ha da credere che sull’uso di quelle non siasi presa così esalta cognizione che potesse conferire alla nostra tranquillità e felicità. Ondechè osservando, quasi per transito, a confronto, in quanti modi appo noi accadde il simile, vanno discorse le cagioni e delle cose celesti e di ogni cosa occulta, dispregiando chi non sa nè quello che a una sola maniera esiste o diviene, nè quello che accade in diverse, secondo l’immagine che offrono le cose lontane, ed eziandio ignora in quali non dobbiamo essere tranquilli. Se dunque noi stimiamo eziandio in questo modo potersi ciò fare anche nelle cose in che parimente s’ha da essere tranquilli, anco riconosciuto