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28 capo ii

dai giuochi olimpici: ad uno pertanto che lo interrogò se vi era molto popolo? Molto popolo certo, rispose, ma uomini-pochi. — Gli scialacquatori diceva essere simili ai fichi nati in luogo dirupato, il frutto dei quali l’uomo non gusta, ma se lo mangiano gli avoltoi ed i corvi. — Avendo Frine consacrato in Delfo una Venere d’oro, egli vi pose quest’iscrizione: dall’intemperanza dei greci. — Un giorno Alessandro gli si presentò dinanzi dicendo: Io sono Alessandro il gran re, Ed io, disse, Diogene il cane. — Chiestogli che cosa faceva per esser chiamato cane, rispose: Accarezzo chi dà; a chi non dà abbajo, e mordo i cattivi. — Coglieva frutta da un fico; dicendogli il guardiano, non ha guari vi s’appiccò un uomo, Io dunque, rispose, lo purificherò. — Vedendo un vincitore olimpico fissare gli occhi frequentemente in una cortigiana: Vedi, disse, quello smargiasso, come gli fa torcere il collo la prima ragazzetta, che si presenta. — Le belle cortigiane diceva essere simili a misture mortifere di miele — Desinando in piazza i circostanti seguitavano a dargli del cane, ed egli: Voi siete cani, che mi state dintorno mentre desino. — A due giovani effemminati che si ascondevano da lui, disse: Non temete, il cane non mangia bietole. — D’un fanciullo che si prostituiva, richiesto di dove fosse? Tegeate (di bordello), rispose. — Vedendo un inetto lottatore fare il medico, Perchè questo, disse, se non per abbattere ora quelli che una volta ti hanno vinto? — Vedendo il figlio di una cortigiana gettare un sasso nel popolaccio: Guardati, disse, di non cogliere tuo padre. — Un fanciulletto gli facea vedere un coltello, che avea ricevuto in dono