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282 | capo vii |
eziandio i Pitagorici. Anzi e’ ricorda Pitagora medesimo con ammirazione, nel libro dello stesso nome; e tanto pare che ogni cosa prendesse da lui, che terrebbesi per suo discepolo, se le ragioni dei tempi non ripugnassero. Che per altro egli abbia udito alcuno de’ Pitagorici, lo dice con asseveranza Glauco reginese, che fu a’ suoi tempi medesimi. Apollodoro ciziceno afferma che fu contemporaneo a Filolao. Scrive Antistene che variamente esercitavasi a sperimentare le fantasie, vivendo talvolta solitario, e soggiornando tra sepolcri.
VII. È fama che tornato dal suo viaggio se la passasse poveramente, per aver consumato ogni sostanza e, a cagione della sua miseria, fosse nudrito dal fratello Damaso; ma che acquistatosi nome col predire alcune cose future, fosse in seguito dalla maggior parte stimato degno di onori divini. — Essendo di legge che il consumatore della paterna sostanza non si onorasse in patria di sepolcro, perchè alcuni invidiosi e delatori non lo chiamassero in giudizio, lesse a costoro il suo grande Diacosmo, che sta innanzi ad ogni sua opera, e fu rimunerato con cinquecento talenti. Nè ciò soltanto, ma con immagini di bronzo; e, avendo vissuto oltre i cent’anni, quando morì, fu sepolto a popolo. Ma Demetrio pretende che il grande Diacosmo fosse letto da’ suoi parenti, e premiato di soli cento talenti. Queste cose narra anche Ippobolo.
VIII. Scrive Aristosseno, ne’ suoi Commentarj istorici, che Platone voleva abbruciare gli scritti di Democrito, e che quindi ne raccoglieva quanti più potea; ma che i Pitagorici Amicla e Clinia glielo impedirono, sic-