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capo vii democrito | 281 |
nore, la quale era in denaro, e abbisognavagli pel viaggio, si sospettò anco dagli altri che con inganno questo facesse. Demetrio asserisce che la sua parte oltrepassava i cento talenti, e che tutti li consumò.
IV. E dice ch’era sì amico dello studio, che si chiudeva in una camera separata del giardino che cingeva la casa; e che una volta suo padre avendo condotto un bue per sagrificarlo, e quivi legatolo, egli non se ne accorse, per lungo tratto, finchè quegli non lo riscosse a cagione del sagrificio, e non gli narrò del bue.
V. Pare, racconta, ch’egli venisse anche in Atene, che, spregiando la gloria, non si desse pensiero di farsi conoscere, e che veduto Socrate fosse ad esso sconosciuto. Venni, dice, in Atene, e nessuno mi conobbe. „Tuttavolta, scrive Trasilo, se i rivali sono di Platone, costui sarebbe il non nominato, diverso dai seguaci di Euopide e di Anassagora, che sopraggiugne nel colloquio con Socrate disputante sulla filosofia, e a cui dice questi che il filosofo somiglia ad un atleta da cinque prove.“ — Ed era veramente in filosofia come uno di questi atleti; poichè coltivava e la fisica e la morale ed anche le matematiche e gli studi enciclici, ed ogni esperienza aveva nell’arti. — Di costui è il motto: Il discorso ombra dell’opera. — Per altro, Demetrio falereo, nell’Apologia di Socrate, assevera ch’e’ neppur venne in Atene; quindi più grande se disprezzo una tanta città, non volendo trar gloria dal luogo, ma preferendo di apportar gloria al luogo.
VI. Del resto appalesano anche i suoi scritti quale ci fosse. — Secondo Trasilo, sembra ch’egli imitasse