Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/239

220 capo ii

regale. In fine recatosi in cocchio, per non so qual festa, fin quasi a Messene, cadde e si ruppe una coscia; e di tale infermità morì il settantesimo settimo anno; e però anche il suo sepolcro è in Megara. Aristotele, circa gli anni, è d’altro avviso; poichè afferma ch’e’ morì di sessant’anni. Altri dicono di cento e nove. — Fiorì nell’ottantesima quarta Olimpiade. Demetrio tresenio, nel libro Contro i Sofisti, dice, con Omero, ch’egli

     Alto il laccio attaccando ad una cima
     Di corniolo pel collo vi s’appese,
     E giù in Averno se n’andò lo spirto.

Ma nella surriferita epistola di Telauge si narra, ch’egli perì essendo per vecchiezza scivolato in mare. — Tali circa la sua morte e tante cose si raccontano. — V’ha, nel Pammetro, un nostro epigramma mordace sopra di lui, che è in questo modo:

   Tu pur, con fiamma rapida purgando
     Il corpo un giorno, o Empedocle, beesti
     Da crateri immortai fuoco; ned io
     Affermo che te stesso abbi gettato
     Nelle correnti etnee, ma che volendo
     Celarti, vi cadesti non volendo.

Ed un altro:

   Certo è fama ch’Empedocle morisse
     Allor che un dì cadde dal cocchio e ruppe
     La destra coscia. Che s’egli gittossi