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212 | capo ii |
V’ha chi pensa ch’egli abbia detto ciò di Parmenide. Racconta Neante che, sino a Filolao e ad Empedocle, i Pitagorici facevano i loro ragionamenti in comune; ma che in seguito, avendoli questi divulgati co’ suoi versi, fu posta una legge che nessuno li comunicasse ad un poeta; e che la stessa cosa accadesse anche a Platone, perch’esso pure fu escluso. Per altro non dice Empedocle chi di loro abbia udito, e non merita fede una lettera che si reca di Telauge, in cui è ch’egli usò con Ippaso e Brontino. Ed afferma Teofrasto ch’e’ fu, ne’ suoi versi, emulo ed imitatore di Parmenide; poichè ne’ poemi divulgò il costui trattato Della natura. Ma Ermippo dice, che non di Parmenide ma di Senofane fu emulo, col quale ebbe a conversare, e la cui epopea imitò; e che da ultimo s’intrattenne co’ Pitagorici. Racconta Alcidamo, nella Fisica, che quasi a un tempo Zenone ed Empedocle furono discepoli di Parmenide; che poi dopo se ne ritrassero; che Zenone si pose a filosofare del proprio, e che Empedocle divenne uditore di Anassagora e di Pitagora, dell’uno dei quali imitò la gravità della vita e del portamento, dell’altro le ricerche sulla natura.
III. Afferma Aristotele, nel Sofista, che Empedocle fu primo inventore della retorica, Zenone della dialettica; e, nel primo Dei poeti, che Empedocle fu anche omerico e terribile nel modo di esprimersi, metaforico essendo ed abile ad usare l’altre cose efficaci alla riuscita della poesia; e che quindi avendo egli scritto anche altri poemi, e il passaggio di Serse e un proemio ad Apollo, questi furono in seguito bruciati da una sua