virtù, Apollodoro, nella Fisica secondo l’antica scuola, ed Ecatone, nel terzo Delle virtù. Poichè l’uom virtuoso è speculativo e pratico nelle cose da farsi; e le cose da farsi sono quelle che si debbono e scerre e tollerare e distribuire e mantenere con perseveranza; a tal che se alcuna ne operi con scelta, alcuna con tolleranza, alcuna distributivamente, alcuna perseverantemente, egli e prudente è, e forte, e giusto, e temperante. Ogni virtù, secondo essi, versa sommariamente in qualche particolar capo, come la fortezza nelle cose da tollerarsi, la prudenza nelle cose da farsi e no e nelle neutre; e parimente le altre s’aggirano sui proprj. Alla prudenza tengono dietro la saggia riflessione e l’avvedutezza; alla temperanza l’ordine e la moderazione; alla giustizia l’equità e la lealtà; alla forza la costanza e l’efficacia. Credono gli Stoici non esservi mezzo tra la virtù ed il vizio, affermando i Peripatetici essere tra la virtù ed il vizio una progressione. Poichè dicono, come un legno deve essere o diritto o curvo, così o giusto od ingiusto un uomo, e non più giusto, nè più ingiusto; e lo stesso in riguardo al resto; e Crisippo, che si può perdere la virtù, e Cleante, non perdere; il primo, che si può perdere per ubbriachezza e melancolia, questi, che non si può perdere per le ferme comprensioni; e però essere da scegliersi. Noi quindi vergognare del male che facciamo, quasi sapessimo solo bene essere l’onesto. E la virtù bastare per sè sola alla felicità, secondo che dicono Zenone e Crisippo, nel primo Delle virtù, ed Ecatone, nel secondo Dei beni. Poichè, dice, se la magnanimità è bastevole per sè a farci eminenti sopra tutti, ed è una parte