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122 | capo primo |
nè con alcuno indulgenti; non rimettendo le pene applicate dalla legger da che il cedere e la compassione e la clemenza stessa, non esistono in alcuna anima per accrescere dolcezza ad una pena: nè per questo essere stimati più duri. Dicono il sapiente non meravigliare delle cose che pajono straordinarie, come caverne esalanti vapori solforosi, riflusso, fonti d’acque termali e soffj di fuoco. E nemmeno dover vivere, dicono, in solitudine, essendo il savio per natura socievole e capace d’agire; e dedicarsi egli all’esercizio per indurare il corpo. E come afferma Posidonio, nel primo Dei doveri, ed Ecatone, nel decimo terzo Dei paradossi, dicono che il sapiente innalzerà preci per chiedere i beni dagli dei. Dicono del pari essere amicizia tra soli sapienti, per conformità; e aggiungono essere dessa una certa comunanza delle cose della vita, usando cogli amici come con noi medesimi. E dimostrano essere l’amico da eleggersi per sè; e un bene la pluralità degli amici; e ne’ cattivi non essere amicizia; e nessuno dei cattivi avere un amico. Tutti gli stolti essere pazzi, perchè non sono prudenti, ma fare nella stoltezza ogni cosa con eguale pazzia. E tutto far bene il sapiente, come dicemmo Ismenia suonar bene tutte le arie del flauto. E ogni cosa essere dei sapienti, dando piena facoltà ad essi la legge. Alcuna per altro essere degli stolti, alla maniera che dei malvagi; tuttavia altrimenti intendiamo del governo, altrimenti dell’uso.
LXV. Le virtù, dicono, seguirsi a vicenda le une l’altre, e chi ne ha una averle tutte, perchè sono comuni le loro regole, siccome afferma Crisippo nel primo Delle