Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
48 | capo v |
V. Cantò dell’Ionia: In qual modo particolarmente poteva essere felice, due mila versi. Tra le poetiche sentenze di lui questa era celebre:
Studiati di piacere a’ cittadini
Tutti detta cittade in che soggiorni.
Se n’ha favor; chè perniciosa spesso
E cagion di rovine è l’arroganza.
E: Che opera della natura è l’essere robusto; ma il poter dire ciò che giova la patria è proprio dell’animo e della prudenza — Che nei più l’abbondanza del danaro proveniva anche dalla fortuna — Diceva: Essere infelice chi non sapeva comportare la sventura; ed essere malattia dell’anima desiderare l’impossibile, e dimenticare i mali degli altri — Interrogato, che cosa fosse difficile? Più di tutto, rispose, tollerare nobilmente i mutamenti — Navigando una volta in compagnia di alcuni empii ed essendo la nave sbattuta dalla tempesta, costoro invocavano gli Dei: Tacete, disse, perchè non s’accorgano che voi navigate qui entro — Interrogato da un uomo irreligioso, che fosse la pietà, tacque. E chiestogli da quello la cagione del silenzio: Taccio, rispose, perchè m’interroghi di cose che non ti pertengono affatto — Interrogato, che fosse più dolce agli uomini? La speranza, rispose — Diceva ch’eragli più a grado giudicare tra nemici, che tra amici; poichè degli amici taluno diverrà al tutto nemico, ma degli inimici taluno amico. — Interrogato a che l’uomo attendesse con diletto? rispose: Al guadagno — Diceva: Doversi misurare la vita come se si avesse a vivere e