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338 | capo ix, carneade |
Carneade? Stolto è chi non vede come
Ei temette il morir! Un dì malato
Di tisi, grave morbo, egli non volle
Tollerar di disciorsi; ma sentito
Che col bere veleno erosi spento
Antipatro, sclamò: Datemi via,
Qualche cosa da ber. — Ma che? che mai?
— Datemi vino e mele. — E spesso avea
In bocca questo: Natura che unisce
Me, me discioglierà di certo. — Ed egli
Non men ne gì sotterra. A chi assai mali
Guadagna egli è permesso irsene all’Orco.
IX. Narrasi, che colto nottetempo da una flussione di occhi, non se ne avvedesse, e ordinasse al ragazzo di accendere la lucerna; e che quegli avendola recata e detto: l’ho portata, Dunque, soggiugnesse, leggi.
X. Molti altri certamente furono i suoi discepoli, ma celebratissimo Clitomaco; di cui ci resta parlare.
XI. Vi fu anche un altro Carneade, freddo poeta di elegie.