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330 | capo vii |
ferno, perchè vi si va a chiusi occhi. — A vitupero di Alcibiade narrava, che essendo fanciullo toglieva i mariti alle mogli, divenuto giovine, le mogli ai mariti. — In Rodi, agli Ateniesi, che studiavano rettorica, insegnava quistioni filosofiche: ad uno che gliene fece rimprovero, rispose: Ho portato frumento e vendo orzo. — Diceva, che i dannati sarebbero meglio puniti, se in vasi tutti interi e non traforati portassero l’acqua. — Ad un chiacchierone che instantemente gli chiedeva assistenza: Farò, disse, quanto basta per te, se manderai mediatori e non verrai tu stesso. — Navigando con alcuni scellerati, cadde ne’ ladri, e dicendo quelli, noi siamo spacciati se ci conoscono: Ed io, soggiunse, se non mi conoscono. — La presunzione chiamava un impedimento al progresso. — Di un ricco spilorcio ebbe a dire: Costui non possiede la roba, ma la roba lui. — Era solito ripetere: Che coloro che abbadano alle minuzie, hanno cura dei beni loro, come di cosa propria, ma come dalle cose altrui, non ne ritraggono utile. — Chi è giovine, diceva, usa la forza, ma invecchiando vale per la prudenza. — Tanto la prudenza vince l’altre virtù, quanto la vista gli altri sensi. — Diceva spesso: Non doversi vituperare la vecchiaia, alla quale, soggiugneva, desideriamo tutti di arrivare. — Ad un invidioso che avea l’aspetto melanconico: Non veggo, disse, dei due, se sia accaduto un male a te, o un bene ad un altro. — L’ignobiltà, asseriva, essere pessima compagna di casa del parlare con franchezza.
— Chi domerebbe l’uomo,
Sebbene ei fosse parlatore audace.