non sono che ricontarsi di ciò che abbiamo già saputo altra volta. Plotone fa vedere che nulla di perfettamente identico si rinviene nel mondo sensibile: che qualche cosa soltanto ci pare ora simile, ora dissimile. Il bello, il buono, il giusto, il santo e tutto ciò cui noi attribuiamo una verace esistenza, non hanno cosa sensibile; che loro assomigli: noi sentiamo solamente qualche cosa di analogo o di dissimile, ma che ha uno stretto legame con queste famiglie della vera esistenza: e noi allora ci ricordiamo del vero ente. D’onde è palese averlo noi già conosciuto e anteriormente saputo. E siccome non potè accadere in questa vita, è dunque accaduto in una anteriore. Ciò si lega coll’opinione platonica, che gli oggetti sensibili sono copie della verità soprasensibile. Questa dottrina del ricordarsi le idee è unita in mille modi, nelle opere di Platone, alle tradizioni mitiche sulla vita passata; anzi molte dottrine del nostro filosofo non debbono intendersi che in senso mitico; quindi la necessità di sceverarle dalla vera scienza ec. ec. Le idee sono l’esistenza reale; ogni altra esistenza non è che analoga e simile alle idee: quest’altra esistenza è l'esistenza sensibile, ciò che avviene nello spazio e nel tempo. È vero che quest’esistenza comprende di certo le idee, ma però in uno stato soltanto d'impura mescolanza. Ora siccome le idee sono ogni verace esistenza, così sono anche la pienezza e la misura di ogni esistenza; di modo che le cosa sensibili non sono tali che pel rapporto che hanno colla verace misura, colle idee. Questo rapporto non è quello dell’egualità, ma soltanto quello dell’analogia, che può essere ora più grande, ora più piccolo, e suppone eccesso o difetto nelle cose. Noi stessi, anime conoscitrici, sommerse nel fiume della sensibilità, noi non possiamo che puramente partecipare alle idee, senza attignere alla loro eccellenza, ma solo assimilarci ad esse nell’infinito; ed a questo tende appunto la necessità dei mezzi dei quali noi abbisogniamo per vivere.