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160 | capo xi. |
costei lo disonorava; ed egli, non più, soggiunse, di quello ch’io la onori.
IV. Raccontasi ch’ei fosse accetto a Tolomeo Sotere, il quale, divenuto padrone di Megara, gli diede del danaro e lo pregò di navigar seco in Egitto; ma ch’egli ricevuta qualche piccola porzione di danaro e rifiutando quell’andata, passò in Egina, finchè il re mise alla vela. — Che anche Demetrio il figlio di Antigono, avendo presa Megara, fece guardare la casa di lui, e provvide che gli fosse restituita tutta la roba tolta; e che volendo procurarsi una nota delle cose da esso perdute, ei gli disse: Nulla aver perduto che fosse propriamente suo, poichè nessuno gli aveva portato via la dottrina, e possedere la ragione e la scienza. E disputando con lui intorno al beneficare gli uomini, così lo strinse da’ farsi abbadare.
V. Narrasi aver lui, sul conto della Minerva di Fidia, interrogato un tale con queste parole: Minerva, la figlia di Giove, è ella un Dio? E dettogli, Si; questa però, soggiunse, non è di Giove, ma di Fidia! E consentendo quegli; dunque, rispose, essa non è un Dio. Per la qual cosa citato all’Areopago, non negò, ma ripetè di aver rettamente parlato, poichè essa non era un Dio, ma una Dea, e gli Dei erano maschi. Non pertanto gli Areopagiti comandarono ch’egli uscisse della città. E narrasi che Teodoro soprannomato Dio, disse per motteggiarlo: donde ciò seppe Stilpone? o, rialzatile i panni, n’ha contemplato l’orto! Costui veramente era arditissimo; gentilissimo Stilpone. — Interrogatolo Crale se gli dei aggradivano le