Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/178


aristippo. 147

che con questi di preferenza si puniscono i malfattori. Perocchè stimavano piu grave il soffrire, il godere più conforme a natura; quindi si davano anco maggior pensiero a governarlo dell’altro; e sebbene il piacere fosse per sè stesso desiderabile, le cose efficienti alcuni piaceri, spesso moleste, avversavano; come che paresse ad essi difficilissima l’unione dei piaceri formanti la felicità. — È opinione di costoro che il savio non sempre viva piacevolmente, nè sempre l’uomo spregevole in travaglio, ma per lo più e che anche un solo avvenimento piacevole basti a taluno per sollievo. — La prudenza, dicono, essere certamente un bene, non da eleggersi per sè stessa, ma per quelle cose che da essa provengono. L’amico a cagione dell’utile, è come le parti del corpo, che si apprezzano finchè sono ammannite. — Alcune virtù starsi anche cogli stolti. — L’esercizio del corpo contribuire all’acquisto della virtù. — Non essere il sapiente nè invidioso, nè inchinato all’amore, nè superstizioso, ciò accadendo per vane opinioni; sentire per altro dolore e timore, che sono cose naturali. — E le ricchezze essere produttrici del piacere, nè da amarsi per sè stesse. — E le passioni, comprensibili; ciò affermando, per vero dire, di esse sole, non delle cose da cui provengono. — Lasciavano poi andare le fisiche per la manifesta incomprensibilità; ma della logica si occupavano per l’uso. Però Meleagro nel secondo delle Opinioni e Clitomaco nel primo delle Sette affermano, creder essi inutile del pari la fisica e la dialettica. Perocchè può parlar bene ed esser lungi dalla superstizione e fuggire il timor della morte ezian-