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nei primi secoli del comune | 17 |
quale, dopo aver salutato col frasario provenzale de’ rimatori dugentisti la primavera,
la stagion che ’l mondo foglia e fiora,
Soggiunge:
ed ogni damigella in gioi’ dimora, |
Ed ecco poi, nella triste sua realtà, il dramma. Una Buondelmonti, di famiglia guelfa, «molto valente e savia e bella», va il 1239 sposa negli Uiberti a un fratello di Farinata: che è quanto dire, parentado fra le due famiglie, capo ciascuna di parte. Alcuni anni dipoi, in un agguato, alcuni degli Uberti sono trucidati dai Buondelmonti: la città è tutta in armi e sossopra. Messer Neri degli Uberti rimanda la donna alla casa paterna, dicendo: «Io non voglio generare figliuoli di genti traditore.». La poveretta, che lo ama, obbedisce e lo lascia. Il matrimonio è annullato: peggio ancora; è dissimulato dal padre di lei, in un altro trattato di nozze che egli conchiude con un conte della maremma senese. Il sacrifìcio è compiuto: ma la vittima, rimasta sola col nuovo marito, gli dice: «Gentile uomo, io ti priego per cortesia, che tu non mi debbia appressare né fare villania, sappiendo che tu se’ ingannato, ch’io non sono né posso essere tua moglie, anzi sono moglie del più savio e migliore cavaliere della provincia d’Italia, cioè messer Neri delli Uberti di Firenze». Il conte, gentiluomo davvero, la rispetta, la conforta, la restituisce padrona di sé: e quella nobile creatura ritorna alla sua Firenze, ma
Del Lungo | 2 |