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4 nei primi secoli del comune

Segurana, a cui Nizza pose una statua sulla porta Peiroliera da lei difesa contro Turchi e Francesi; nè madonna Cia degli Ubaldini, la forte donna romagnola, «guidatore della guerra e capitana de’ soldati»,1(*) che sostiene Cesena contro le masnade sanguinarie del cardinale d’Albornoz, resistendo con pari fermezza e alle armi nemiche e ai consigli di resa che le vengono da valorosi uomini di guerra; nè, se vogliamo aggiungerla, Caterina Sforza Riario, che, nella ròcca di Forlì, calpesta la fede data e la vita stessa de’ figliuoli, per assicurare la vendetta dell’ucciso marito; madre poi, e non fa maraviglia, di Giovanni delle Bande Nere. Nè sono fiorentine, ma della terra e del tempo dei Vespri, le donne che aiutavano la difesa della patria contro l’angioino oppressore; e il popolo ne faceva la canzonetta, che Giovanni Villani2 avrebbe dovuto conservarci intera:

Deh com’egli è gran pietate
delle donne di Messina:
veggendole scapigliate
portare pietre e calcina!

Eroismo rinnovato, bensì con tutta la pompa del sec. XVI, dalle gentildonne e popolane senesi, che distribuite in squadre con divise a tre colori, violetto rosa e bianco, lavorarono alle fortificazioni di quell’ultimo baluardo della democrazia toscana; e meritarono che un gentiluomo francese, il Montluc,3, rendesse loro l’omaggio dei prodi. Non ebbe eroine Firenze, o le ha dimenticate. Ma che perciò? La donna non ismentisce nella storia la propria natura e l’ufficio commessole dalla Provvidenza: la istoria sua è (salvo eccezioni, così nell’ordine de’ fatti come del pensiero) storia senza nomi, ma di tutti i giorni e di tutte


(*) Vedi le note a pag. 55.