Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
41 |
conto trattandosi di monete piccole sempre scadenti dal peso legale, tanto più che sonosi conservate nel minuto commercio dell’isola forse per due secoli, chè nuove di zecca dovrebbero essere di peso assai maggiore, onde non possiamo aver dubbio che siano il quarto del gigliato e la metà del grosso matapane, in conseguenza di quei tali pezzi ai quali sempre vedemmo calcolarsi i fiorini d’oro, cioè caratti, come già si è detto descrivendo la moneta di Martino e Benedetto II.
Dopo questi ne rimangono ancora molti altri e tutti di uguale legge, ma che per la diversità dei loro conii e varia forma dei caratteri si riconoscono ad essi posteriori, e difficili a classificarsi, essendovene dei battuti dal finir del XIV secolo sino alla metà incirca del XV; onde prima di essi crediamo di descrivere tre ducati d’oro, i soli di questa zecca che conosciamo; sebbene altri debbanvisi essere stati coniati, e probabilmente tutti contraffatti a quelli di Venezia variandone solamente le leggende.
Il primo (Tav. I, n.ᵒ 10) presenta nel diritto il doge ginocchione con manto e berretto ducale nell’atto di ricevere il vessillo della croce da un santo in piedi che tiene colla sinistra un libro, ed accanto al quale perpendicolarmente leggesi S · LAVRETI per Sanctus Laurentius, titolare della cattedrale di Genova, non già della latina di Scio, la quale, secondo il Lupazzolo che vi abitava ed è citato dal Giustiniani1, era dedicata a S. Antonio; accanto al doge evvi il suo nome così T · DVX · IANVE, e contro la bandiera ripetuto il DVX per meglio imitare il ducato veneto. Qual fosse il doge il cui nome cominciasse con tal lettera facilmente riviensi, che avanti al 1500 nella loro serie evvene un solo, e questi è Tommaso da Campo Fregoso eletto tre volte, cioè la prima nel 1415, la seconda nel 1436 e la terza nel 1437. Sotto quali di questi dogati il nostro pezzo sia stato coniato è impossibile dirlo, avendo il primo durato sei anni, il secondo uno ed il terzo incirca sei.
Il rovescio suo nel tipo e nella leggenda in nulla differenziando da quello di Venezia, è inutile che si descriva.
Esso è del peso di soli denari 1. 19, ossia grammi 2. 295, e siccome pare appena giungere a millesimi 850, deve perciò
- ↑ Scio sacra di rito latino, pag. 18.