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sopra Scio per non dare alcuna causa di scandalo nè di ammirazione, ed a Nicolò Grillo, che vi doveva risiedere come bailo, a noi pare che non dobbiate pigliar alcuna cura di giurisditione nè di protettione de’ Sciotti nè de’ Peroti1; e quantunque sin dal 1564 conoscesse i grandi preparativi che la Porta faceva contro quest’isola, per nulla si mosse, e lasciò che tanto essa come le altre sue colonie, abbandonate a se stesse, nelle mani dei Turchi miseramente quasi senza difesa cadessero.
Correva l’anno 1566, e siccome, trovandosi i maonesi in grandi angustie, da due anni avevano ritardato al sultano il pagamento del solito tributo, che già era salito alla cospicua somma di 14,000 ducati d’oro annui, oltre i donativi di panno scarlatto ed altro agli ufficiali del serraglio, e per soprappiù il gran visir Maometto, uomo molto feroce, avendo fatto credere a Solimano2 che l’acquisto di Scio sarebbe stato di grande utile allo stato pel prodotto del mastice e pel comodo suo porto, esso ordinò al capitan bascià Pialì che ad ogni costo se ne impadronisse.
Con 120 galee questi partì da Costantinopoli, e li 15 aprile 1566 fece capo ad un punto dell’isola detto Passaggio, dove divisa la flotta in tre squadre, come amico entrò ne’ suoi tre porti, e come tale ricevuto chiamò a sè il capo della Maona Vincenzo Giustiniani ed i dodici governatori, e subito fattili mettere in catene, trionfalmente entrò nella città che lasciò saccheggiare dai suoi soldati, e fatta inalberare sul castello in luogo della bandiera della croce rossa quella della mezzaluna, sopra cinque navi mandò a Costantinopoli i principali dei Giustiniani colle loro donne e fanciulli.
Dei ragazzi ventuno furono tolti ai parenti, affinchè, abbracciato l’islamismo, fossero allevati nel serraglio; ma diciotto amarono meglio morire nei tormenti che abbandonare la propria religione, e gli altri tre, abbenchè circoncisi, appena il poterono fuggirono a Genova ritornando al cristianesimo. Intanto i poveri maonesi stettero qualche tempo nelle carceri di quella città, indi furono rilegati a Caffa nella Crimea, donde, dopo alcuni anni,