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Stabilito il modo di elezione dei podestà di Scio e delle due Focee da farsi sopra una rosa di quattro cittadini da presentarsi dai maonesi, e sopra una rosa di sei pei castellani, se ne stabilirono i trattamenti; indi dichiarò il doge che posset dictus potestas (Scii) nomine comunis Januae cudi et cudi facere in insula Syi monetam argenti de liga et pondere de qua melius videbitur ipsi potestati, in qua moneta sint literae monetae ianuensis, et figurae ut deliberabitur per potestatem Syi et suum consilium,

    sunt super me scripti in dicta madona occasione damni et perditas dictae; unde cedo tibi omnia iura quae habeo occasione bisanciorum 58 1/2 in dicta madona; altro delli 15 maggio detto anno col quale Enrico Banchieri vien nominato procuratore da Ugo Fornari per esigere 900 bisanti milliaresi in Madona Septae e dovuti da quel re; ed al foglio 140 un altro pure fatto in Genova, però li 27 aprile 1237, per il quale Pietro d’Oria dichiara a Tedisio Fieschi quod de eo quod scriptum est in cartulario prudentium septem et quod dicitur Maona, contingunt tibi libras trecentum. Dal primo poi dei surriferiti atti, spettante alla prima metà del secolo XIII, si vede che esisteva una società di commercio, di quelle che ora diconsi banche, la quale chiamavasi Madona, e dal secondo ricaviamo che i direttori di altra simile società genovese nominavano Maona il gran libro nel quale erano registrati gli averi dei suoi partecipanti, nome appunto col quale chiamaronsi indi quelle compagnie che possederono le entrate di Scio e di Famagosta.
    Or tutti sanno come nei bassi tempi in Italia qualunque associazione o corporazione era sotto l’invocazione o protezione di un santo, e che la parola Madona così sola usavasi, come anche al presente, per indicare la Vergine Maria, onde non crediamo di errare dicendo che tali società volevano così significare che erano sotto la sua protezione, come posteriormente fu di quella detta di San Giorgio, e siccome nel carattere del dialetto genovese volentieri si sopprimono per amor di brevità le consonanti, così, tralasciata la lettera D, dissero solamente Maona.
    Il fatto di Ceuta al quale alludono le due carte del 1236 è distintamente narrato all’anno 1234 dal Caffaro (Muratori, Rerum Italicarum scriptores, Tomus VI. Annales Genuenses, col. 471-72-73); però non vi è detto che questi crocesignati Calculini o Calcurini, secondo il Giustiniani popolazione delle coste della Spagna verso la Biscaglia o la Navarra, i quali pare amassero portare le loro armi dove vi fosse molta preda a fare, e che poca distinzione mettevano tra cristiani e maomettani, sulle coste d’Africa, appunto in vicinanza di Ceuta, bruciarono una nave chiamata S. Marco, propria di Giacomo Caracapa e Guglielmo Formica savonesi, il qual fatto si legge nel fogliazzo I delle citate pandette, nelle quali, oltre vari altri mercanti genovesi derubati, trovasi che un Ottobono della Croce nella rissa che ebbe luogo in detta città tra i suddetti e gli abitanti, perdette tanto grano per bisanti milliaresi 1516, delle quali perdite quel sultano si era obbligato d’indennizzarli, essendosi così con Genova convenuto per compensarla delle spese da essa fatte nell’allestire una numerosa flotta sotto il comando di Lanfranco Spinola per la sua difesa.
    Tale armamento prova di quanta importanza fosse pel nostro comune questo scalo, per mezzo del quale potevano con gran facilità commerciare coi mori sia di Marocco che di Spagna, ed appunto per consoli usava mandarvi persone importanti, come vi vediamo nel 1237 Pietro ed Ugo Lercari, il qual ultimo nell’anno susseguente fu da Lodovioo IX, re di Francia, nominato ammiraglio della flotta che lo doveva portare alla crociata di Affrica.»


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