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e la vita dell’operaio. | 53 |
47. Permettetemi che io vi rappresenti una scena, e finisco davvero. Siamo nel giorno della festa nazionale, la domenica prima di giugno. Ma perchè la festa sia vera, mi figuro lo straniero fuori d’Italia (ahi quanto è duro ripetere oggi questa parola!); mi figuro aperte tutte le strade che menano a Roma, meno le scorciatoie; mi figuro sanate o prossime a risanare le piaghe della grande malata. La campana della Torre chiama i cittadini ad una solennità civile; la piazza è gremita di gente; il palazzo è imbandierato a festa; le bande suonano allegramente! Nella gran sala che ricorda lo splendido passato della città vostra, o Sanesi, il magistrato del Comune ha raccolto il fiore della cittadinanza. È il Comune, a cui stanno le sapienti e generose iniziative, che oggi si sostituisce sapientemente a un fanciullo bendato, per premiare egli medesimo, non chi comincia, ma chi ha finito il compito suo, per premiare ciò che di premio può essere più degno su questa terra, una vita spesa nel lavoro, nella temperanza, nella virtù.
Eccoli questi buoni vecchi! Eccoli questi