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e la vita dell’operaio. |
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nuova contro la peste e la miseria, e peggiore d’ogni peste e miseria, la superstizione e l’egoismo feroce. Posato il fucile, il nostro soldato andò per le case in traccia di malati; li trovò senz’anima viva d’intorno; li consolò, li assistè, raccomandò loro l’anima, gli portò morti al sepolcro. Per le vie, per i campi trovò gente affamata, e spartì con essi il suo pane e il suo soldo giornaliero, e ne ebbe benedizioni, ma più spesso maledizioni, perchè quel pane fu creduto avvelenato.
In quelle orgie di sangue, ordite dal sospetto e dal pregiudizio popolare, e fomentate dalla malignità retriva, il soldato entrò di mezzo, afferrò le mani fratricide, gridando pace, pace: assalito egli medesimo, si difese, ma non ferì. In quella diserzione universale egli prese il posto del farmacista, del fornaio, del prete, fino del sindaco e del giudice, fino del becchino, che tutti fuggirono. Egli solo rimase, e quando, affranto delle fatiche, si sentì prendere dal crampo fatale, strinse la mano al suo capitano e al suo colonnello, e con la serenità del giusto, con la rassegnazione d’un martire, se ne morì.