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lanciava alla distruzione di Tebe. Questa non più come per l’addietro abbagliata dallo splendore di Atene e di Sparta sofferse le ingiurie, ma quant’elle erano maggiori, tanto si commosse a più strepitosa vendetta. In così violenta fortuna ardì opporsi con minori e sprezzante squadre alle formidabili e superiori. Sparta movea ventiquattro mila fanti, e mille seicento cavalieri. Tebe pose contr’essi in campo sei mila fanti, e quattrocento cavalieri. Il romore di così alte vicende, le quali aprivano spazioso cammino alla gloria, già temperava il dolore del vedovo Erostrato, e gli accendea l’animo con nuovi desiderj di avventarsi a sublimi esperimenti di fortona. Nè aveva aspettato che suonasse la tromba in campo, ma appena fu in moto la Grecia per così grave contesa, ch’egli odiando la tirannide Spartana e quel ferreo giogo, col quale tenea curva la Grecia, si compiacque di quella virtù con cui Tebe ardiva sottrarsene generosa. E quanto