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trui la obblivione de’ mali, esso ne ritraeva o cruccio maggiore, o ingannevoli conforti. Meditava anco sovente il vasto imperio di Amore. Il cielo, il mare, il mondo ne fanno continua testimonianza. Il mormorio de’ ruscelli, l’aura che lieve scuote da’ fiori la fragranza, le colombe che gemono nelle torri superbe de’ magnati, il mugghio degli armenti sembrano un inno concorde di natura a quel nume. Il vedovo infelice in cotanta gioja dell’universo altro non ritraeva in contemplarla, fuorchè un odioso paragone di se con quella. Onde compreso da smania: «tristo cielo, sclamava, magione di tristi Dei, a che ne giova empierti d’incensi e di voti quando su noi altro non versi che un nembo di pianto? E voi numi che magnificate aver cura di noi, come rimanete beati veggendo noi sempre, e tanto miseri? Dove è la pietà vostra, se niun de’ mali impedite? dove la sapienza se governate da stolti? I malvagi vi deridono,