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ciava le vesti, prorompea in grida, e trascorrendo per le stanze vi spandea il lutto, lo spavento, e la commiserazione. Già le pupille oscurate dal dolore odiavano la luce. Fuggiva da loro il sonno, non più vi sgorgava il pianto: già n’era esausta la fonte nel cuore impietrato. Mirava sovente i lini delicati, i veli, le armille le collane preziose, le ornate vesti preparate alla sposa, e sospirando le baciava. Veggendo poi il talamo deserto non mai intiepidito da Imene cadeva su quelle piume abbattuto, invocando la compagna per sempre disgiunta. Ivi non già in sonno delizioso languiva, ma in funesto letargo, dal quale poi destato ritornava a imperversare nell’albergo lagrimoso. La madre, i servi, le ancelle seguendolo, ora con dolci offizi si studiavano calmare così fiera ambascia, ora discrete lasciavano che ella sfogando veemente gli uscisse alquanto dal petto.
Glicistoma gli avea il giorno prece-