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si collocarono d’intorno. Immantenente i remiganti percorsero le onde ormai tranquille: splendea sovr’esse il sole. Alla cui vampa Erostrato come desto da letargo di morte, esclamò: «Vivo io forse, o è un sogno funesto? Come respiro se a questa per cui io vivea è negata l’aura? Come non partì con la sua, l’anima mia in eterno amore congiunta? Ahi ch’io pur troppo qui rimasi vedovo inconsolabile, e me ne fa testimonianza il mio cuore squarciato. Tu sei pur quella, che dovea col volgere d’un ciglio placare Nettuno, come ora giaci rifiuto delle sue onde? Come non ti raccolse Teti nella sua conca, perchè le Nereidi non ti recarono festose al lido? Oh belle membra albergo di anima più bella di voi, occhi arbitri del mio cuore, voce soave, molli braccia, candido seno quali or mi mostrate oltraggi della morte! E tu mare perfido perchè ora quasi