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tempo una perfetta facondia, giacchè di gran parte di essa era già stimato posseditore. E già le ombre vespertine coprivano il tempio, e fu sciolta l’adonanza. Egli recatosi alle sue stanze vi rimase desto tutta la notte declamando altre sue orazioni, studiandosi porgerle con dignità nel gesto, e con grata modulazione nella voce. Surse quindi l’alba, e sollecito di nuovo esperimento prese la lira, e copertosi di una splendida veste, lavoro dell’Asia molle, nel teatro si collocò, luogo delle gare musicali. Era già pieno, e incominciò un giovane Ateniese col flauto, ma non sembrò ch’egli meritasse dar principio, perchè in nulla trapassava il valor comune. Suonò poscia la lira un Tebano, e questi faceva già palpitare Erostrato per alcune eccellenti note, ma poi sopravvenne il difetto di una scarsa varietà, per cui ricadeva negli stessi modi, e dal promettere delizie, scendeva alla sazietà. Si presentò quindi Erostrato, il cui stile spontaneo, verace dono di