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trice. Nè la Dea guarda con dolenti occhi queste ruine. La sua eterna magione è il cielo. Che se ella si compiace della nostra venerazione in ergerle alcuna stanza in terra, molte ne ha in diversi popoli offertele del pari. Ma se nel prescrivere le pene dee l’equità vostra perdonare i danni della colpa, quali son questi? Chi ho offeso io negli averi, o nella persona? Chi se ne duole? Il tempio era da voi dedicato alla Dea: è dunque suo. Or s’ella è da me offesa, lasciatene la vendetta a lei. Nè certo sarebbe ardimento minore il vostro di arrogarvela, che non fu il mio di provocarla quando mossi la face alle sue sante mura. Ella ha potenza, virtù celeste e sovraumana, non le mancano le frecce del germano, i fulmini del padre, il tridente del zio a trafiggermi, incenerirmi, sobissarmi. Pur la spero clemente, perchè la sua grandezza è superiore a tutte le cose umane. La mia impresa non ha origine da sacrilego disprezzo,