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L’oscurità lì avvolgeva quasi completamente.

In fondo al terrazzo, nel vano del salotto illuminato, si disegnava la testa di Elvira curva sopra i suoi cómpiti, ricevendo dall’immediato contrasto colle tenebre esterne un carattere di vignetta ritagliata, inquietante e stonato nella fusione misteriosa del terrazzo colle ombre della notte. Anna prese un ramo di glicine carico di fiori e se ne fece schermo, stendendolo sulla spalla di Flavio, comunicandogli per quella via una specie di carezza lunga e profumata dove si sciolse tutta l’amarezza dell’adolescente. Egli parlò prima a parole brevi e staccate, poi infervorandosi, sorretto dalla inviolabilità delle tenebre e dalla mano di Anna che sentiva palpitare alla estremità del ramo florito.

Narrò la sua infanzia malinconica, la privazione dei baci materni, le sofferenze di una sensibilità acuta che l’ignoranza e l’apatia altrui irritava fino allo spasimo. Tutto non