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Non si mosse e non volse il capo quando Flavio, all’ora solita, venne e dalla soglia augurò la buona sera. Per qualche tempo lo udì discorrere con Elvira, ma senza ascoltare, tutta immersa nella solitudine che circondava il terrazzo, che copriva i giardini e gli orti sottostanti di una tinta indecisa dove le forme sparivano, come se all’improvviso un mare misterioso ed immobile fosse sorto a dividere la casa felice dalla rimanente città che solo appariva dietro le mura del chiostro con una rada punteggiatura di lumi. Fu dopo, più tardi, che spostandosi per rimuovere un ramo se lo vide ritto accanto. Allora gli sorrise nella semioscurità, assaporando la dolcezza di proteggerlo e con una voce che tradiva sotto il tono ilare una profonda nota di affetto gli disse:

— Come sta?

— Come sto? — rispose Flavio tutto conturbato da quel cambiamento di pronome.